Pedemontana e Brebemi, deserti di lusso. Cosa è andato storto: i conti (e i rischi dell’autonomia differenziata), di Ferruccio de Bortoli
Una meraviglia. Percorrere la nuova Pedemontana veneta è un’esperienza piacevole. Bella, pulita, elegante. E, soprattutto, vuota. Poi a Montecchio Maggiore Sud si arriva sulla A4 ed è l’inferno. Addirittura due corsie interamente occupate da file di mezzi pesanti. Rallentamenti, code. Dopo Brescia Ovest, per la fortuna del milanese di ritorno, si devia sulla mitica Brebemi, ormai non più nuova e altrettanto poco frequentata, se non spesso addirittura deserta. Una rassicurante distesa di asfalto che fende il cuore agricolo bresciano e bergamasco, in parallelo con l’alta velocità ferroviaria. L’automobilista si sente addirittura in colpa (anche se paga due euro ogni dieci chilometri) per aver sottratto tanta bella campagna al verde e alle colture. Qui la Lombardia sembra una regione spopolata. A differenza della sensazione di opprimente sovraffollamento — la sindrome della città infinita — che si prova sulla Milano-Bergamo-Brescia. Questi due progetti, la Pedemontana veneta e la Brebemi, cui si aggiunge l’ancora incompleta Pedemontana lombarda, sono stati per anni — nelle due grandi Regioni a guida leghista — la bandiera orgogliosamente sventolata del federalismo.
Mobilità delle merci
La dimostrazione che il Nord produttivo, a dispetto dei freni burocratici e della ignavia centralista, era in grado di risolvere con progetti pubblico-privato, il cosiddetto project financing, i problemi della mobilità, soprattutto delle merci. I trasporti sono insieme alle infrastrutture, tra le ventitré competenze che le Regioni potrebbero chiedere, con l’autonomia differenziata, di gestire in esclusiva. E, dunque, sarebbe del tutto opportuno, se non doveroso, che ci si chiedesse che cosa è andato veramente storto con questi progetti autostradali, costati finora complessivamente circa 9 miliardi, se ne valesse veramente la pena. E non per fare un inutile processo e individuare responsabilità e colpe, ma semplicemente per evitare in futuro il ripetersi di un errore madornale. Ovvero credere che tutto ciò che nasce dal territorio sia di per sé positivo e si possa fare anche da soli.
L’autostrada più cara d’Italia
Quello delle infrastrutture strategiche non può che essere un sistema intermodale (gomma, ferro e aereo). A livello italiano se non europeo. L’aggettivo federalista non è di per sé garanzia di scelte corrette e di buoni investimenti. Anche perché la nemesi è stata bruciante. I soldi per ripianare le perdite di questi progetti «fai da te», alla fine ce li ha messi lo Stato oltre alle Regioni interessate. I contribuenti italiani. Non solo (come vedremo) quelli regionali. Una storia amara, coperta da silenzi imbarazzati o dichiarazioni tranquillizzanti, nella quale i privati non ci fanno una bella figura perché operare con l’ombrello delle garanzie pubbliche è la negazione dell’imprenditoria e del mercato. Parliamo prima di tutto della Brebemi che doveva, secondo il progetto originario, decongestionare la A4. È ormai diventata una specie di scorciatoia bresciana di lusso per Linate. Una direttissima per l’aeroporto. Come ha scritto sul Corriere della Sera Massimiliano Del Barba, è l’autostrada più cara d’Italia. Lo scorso 8 agosto le tariffe sono aumentate del 12,11 %. Altro che adeguamento all’inflazione!
Azionisti
È curioso che vi sia un azionista spagnolo (Sacyr) anche nella Pedemontana veneta (Spv). Non appare preoccupato più di tanto visto che il rischio d’impresa è anche in questo caso in carico al concedente, cioè la Regione Veneto.
Non solo, come ha scritto Martina Zambon sul Corriere del Veneto, parte dell’aumento regionale dell’Irap andrà probabilmente a coprire ciò che manca del canone di disponibilità di 150 milioni l’anno. Gli introiti da tariffe sono inferiori al previsto. Il consorzio Sis ha investito 2,3 miliardi di euro (di cui 600 di contributo statale) per i 94 chilometri della Spv, più 68 di viabilità accessoria.
La preoccupazione per l’andamento dei conti della Pedemontana, sui quali non vi è ancora la necessaria chiarezza, è però tale da aver indotto il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, a studiare una possibile nazionalizzazione del fiore all’occhiello del federalismo veneto. Sarebbe il colmo.
Regia pianificatoria
«Nonostante tutto — è l’opinione di Emilio Del Bono, ex sindaco di Brescia, oggi vicepresidente del Consiglio regionale della Lombardia — il mio giudizio sulla Brebemi rimane sospeso, un’alternativa all’imbuto della A4 andava trovata. Il difetto più grave è quello di un progetto che nasce sulla spinta delle categorie, del sistema camerale, che trova appoggi importanti come quello di Intesa Sanpaolo, ma è totalmente svincolato da una riflessione sul futuro delle infrastrutture strategiche del Nord Italia. Ognuno è andato per conto proprio senza alcuna regia pianificatoria della stessa Regione Lombardia».
E abbiamo detto poco. Qui sta il punto. La nuova regolamentazione delle reti europee (Ten-T) insiste sull’interconnessione e accessibilità in termini di tempo e spinge affinché il traffico merci sia portato il più possibile su ferro anziché su gomma. Lo sviluppo dei grandi poli logistici prescinde totalmente dai confini regionali. Il grande interporto di Alessandria — tanto per fare un esempio — è funzionale all’avvio del Terzo Valico, essenziale per lo sviluppo del porto di Genova, sbocco strategico del traffico merci dell’intera Padania.
La vicenda delle autostrade regionali è sintomatica di quello che potrebbe accadere, con l’autonomia differenziata, su altri capitoli, a cominciare dall’energia. L’errore della riforma del titolo V della Costituzione — riconosciuto anche dalla stessa sinistra — rischia di essere non emendato ma addirittura ampliato.