Il ciclone Boris ha appena terminato di portare devastazione in mezza Europa, con alluvioni dalla Germania alla Polonia, dalla Slovacchia alla Romania, dall’Ungheria all’Austria all’Italia, con Emilia-Romagna, Marche e Toscana in prima fila.
È il risultato della cementificazione che si unisce a una crisi climatica che, in Europa, ha già portato l’atmosfera a surriscaldarsi a velocità doppia rispetto alla media globale, dove il termometro segna circa +1,1°C rispetto all’era pre-industriale.
Secondo il più recente studio pubblicato sul tema, la crisi climatica sta già costando al mondo 38mila mld di dollari l’anno in termini di reddito perso per i cittadini, e i danni superano di sei volte i costi necessari per contenere il riscaldamento globale entro i +2°C a livello globale. Ma l’attuale traiettoria segna +2,5-2,9°C entro questo secolo: significherebbe incrementare di molto i danni da alluvione.
«Le inondazioni sono tra i pericoli naturali più devastanti – spiegano dal Jrc, il Centro comune di ricerca dell’Ue – Un riscaldamento superiore a 3°C potrebbe raddoppiare i costi dei danni e delle persone colpite dalle precipitazioni e dalle inondazioni dei fiumi».
Che fare? La risposta è sempre la stessa: i pilastri d’azione sono due. Il primo impone di ridurre rapidamente le emissioni di gas serra legate all’impiego di combustibili fossili, che una volta bruciati emettono quei gas serra – in primis la CO2 – che determinano l’aumento della temperatura atmosferica e il conseguente incremento di fenomeni meteo estremi. Il secondo consiste nell’investire sull’adattamento dei territori, a partire dall’invertire il trend relativo al consumo di suolo.
Per adattarsi occorre però conoscere a fondo lo stato di partenza, e in quest’ottica il Jrc sta mettendo a disposizione dell’Europa un nuovo, prezioso strumento: il Flood extent enhancement and water depth estimation tool (Flexth), pensato per stimare la profondità delle acque alluvionali e migliorare la precisione delle mappe dell’estensione delle inondazioni, combinando immagini satellitari con dati topografici.
Flexth è ancora in fase di test, ma prenderà progressivamente il posto del Cems, il Copernicus emergency management service già in uso, grazie al quale le immagini satellitari vengono già utilizzate per mappare le aree allagate, per monitorare l’evoluzione delle inondazioni e supportare gli sforzi di ripristino.
Tuttavia, le immagini satellitari hanno anche delle limitazioni, in quanto la copertura nuvolosa, la vegetazione densa o le grandi infrastrutture nelle aree urbane possono ostacolare o degradare il segnale dei sensori satellitari. Inoltre, nel caso delle inondazioni, c’è un altro inconveniente, in quanto i satelliti non riescono a rilevare la profondità dell’acqua. Flexth è chiamato a nuova conoscenza in quest’ambito, per permettere alle istituzioni europee e nazionali di agire con maggior precisione nella prevenzione e nella gestione delle alluvioni.