Osservatore Romano – Sono le persone e non le macchine il vero valore del lavoro

I capitali umani, etici e spirituali di un’azienda valgono più dei capitali economici e finanziari

In un’azienda i «capitali umani, etici e spirituali valgono più dei capitali economici e finanziari», perché sono gli uomini, e non le macchine, «il vero valore del lavoro». Lo scrive il Papa agli imprenditori francesi riunitisi il 28 e 29 agosto presso l’ippodromo di Longchamp, a Parigi, per il loro incontro annuale. Del messaggio originale in francese — letto nel pomeriggio di ieri dal vescovo di Nanterre, monsignor Matthieu Rougé — diamo di seguito una traduzione italiana.

Agli imprenditori di Francia

Sono lieto di potervi inviare, cari imprenditori e imprenditrici di Francia, questo breve messaggio in occasione del vostro incontro annuale. Quando penso ai dirigenti aziendali, la prima parola che mi viene in mente è “Bene comune”. In effetti, non è possibile oggi immaginare un miglioramento del Bene comune, ossia della vita economica e sociale, della giustizia, delle condizioni di vita dei più poveri, se non si considerano gli imprenditori attori dello sviluppo e del benessere. Voi siete un motore essenziale della ricchezza, della prosperità, della felicità di tutti.

Il periodo che stiamo attraversando non è facile per nessuno, e anche il mondo imprenditoriale soffre, a volte molto: per diverse ragioni, in particolare per questa guerra assurda e, ancor prima, per gli anni molto difficili della pandemia. Gli imprenditori soffrono quando la loro azienda soffre, e soffrono molto quando l’azienda fallisce e deve chiudere. I media parlano poco delle difficoltà e del dolore degli imprenditori che chiudono la propria azienda e falliscono non per colpa loro.

Il libro di Giobbe ci insegna che la sventura non è sinonimo di errore perché colpisce anche i giusti, e che il successo non è direttamente sinonimo di virtù e di bontà. La disgrazia colpisce sia i buoni sia i cattivi. La Chiesa comprende la sofferenza del buon imprenditore, comprende la vostra sofferenza. Essa l’accoglie, vi accompagna, vi ringrazia. Fin dall’inizio, la Chiesa ha anche accolto nel suo seno i mercanti, i precursori degli imprenditori moderni. Nella Bibbia e nei Vangeli, si parla spesso di soldi, di commercio, e tra i racconti più belli della storia della salvezza si trovano anche brani che parlano di economia: di dracme, di talenti, di proprietari terrieri, di amministratori, di perle preziose. Nel Vangelo di Luca, il padre del figliuol prodigo ci viene presentato come un uomo ricco, forse un proprietario terriero. Allo stesso modo, il Buon Samaritano, che poteva essere un mercante, si ferma accanto al ferito, si prende cura di lui, poi lo affida a un albergatore e gli dà due denari come pagamento.

Oggi uno dei modi più importanti per partecipare al Bene comune è la creazione di posti di lavoro, di impiego per tutti, in particolare per i giovani — abbiate fiducia nei giovani: ne hanno bisogno e voi avete bisogno di loro. Ogni nuovo posto di lavoro creato è una ricchezza condivisa, che non finisce nelle banche a produrre interessi finanziari, ma che viene investito affinché nuove persone possano lavorare e rendere la loro vita più dignitosa. Il lavoro è qualcosa di legittimamente importante. In effetti, se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, è ancor più vero che sono gli uomini a nobilitare il lavoro. Siamo noi, e non le macchine, a essere il vero valore del lavoro.

L’imprenditore è anche un lavoratore. Vive del suo lavoro, vive lavorando, e rimane imprenditore finché lavora. Quando l’imprenditore smette di lavorare, si trasforma in speculatore o in possidente e cambia mestiere. Il buon imprenditore, come il “buon pastore” del Vangelo, al contrario del “mercenario”, conosce i suoi lavoratori perché conosce il loro lavoro. Una delle crisi più gravi del nostro tempo è la perdita di contatto dell’imprenditore con il lavoro della sua impresa, e dunque con i suoi lavoratori, che diventano “invisibili” (Pierre Y. Gomes). Voi siete diventati imprenditori perché un giorno siete rimasti affascinati dall’odore del laboratorio, dalla gioia di toccare con le vostre mani i vostri prodotti, dalla soddisfazione di vedere che i vostri servizi sono utili: non dimenticatelo mai, è così che è nata la vostra vocazione. E in questo assomigliate a Giuseppe, a Gesù che ha trascorso parte della sua vita a lavorare come artigiano: “il Verbo si è fatto falegname”. Conosceva l’odore del legno.

Un’ultima parola. Il primo capitale della vostra azienda siete voi: il vostro cuore, la vostra coscienza, le vostre virtù, la vostra voglia di vivere, la vostra giustizia. Questi capitali umani, etici e spirituali valgono più dei capitali economici e finanziari. Oggi le nuove sfide della nostra complessa società non possono essere affrontate senza dei buoni imprenditori. Voi potete vivere il vostro lavoro come una vocazione, come un compito morale, come un destino esistenziale. Ma un’impresa non basta, l’economia è troppo poco per voi: la vostra creatività e la vostra innovazione sono altrettanto necessarie nella società civile, nelle comunità, nella cura del creato. Senza nuovi imprenditori, la nostra terra non resisterà all’impatto del capitalismo. Fino ad oggi avete fatto delle cose, alcuni di voi ne hanno fatte molte: ma non è abbastanza. Viviamo un periodo d’urgenza, di grande urgenza: dobbiamo, dovete, fare di più: i bambini vi ringrazieranno, e io con loro.

Prego perché il vostro lavoro e i vostri sforzi diano frutti abbondanti e duraturi, e vi invio i miei cordiali saluti.

Dal Vaticano, 13 luglio 2023

Francesco