Le nuove frontiere della rete – Civiltà Cattolica – Quaderno 4141
Da tempo, i termini «metaverso», «algoritimi» e «blockchain» fanno capolino nelle occasioni e nei contesti più diversi. Per quanto riguarda il metaverso, anche una semplice ricerca rivela la crescita vertiginosa della sua ricorrenza in articoli, link, video, blog. Nel solo anno 2021 essa è aumentata del 7.200% rispetto al 2020: 12.000 articoli in lingua inglese, contro i meno di 4.000 dell’anno precedente[1].
Anche Facebook ha mandato un messaggio eloquente: il 28 ottobre 2021 ha cambiato il proprio nome in «Meta» e sta progettando uno speciale tipo di visore, chiamato «Oculus», che permetterà di entrare nel metaverso in maniera analoga all’accesso sui social attualmente praticato dai dispositivi elettronici. A molti tuttavia questa parola non sembra indicare molto più di quello che evoca. Di che si tratta?
Un po’ di storia
Il termine «metaverso» compare nella letteratura nel 1992, anno in cui viene pubblicato il romanzo di fantascienza Snow Crash di Neal Stephenson. In esso il metaverso caratterizza un pianeta, due volte più grande della Terra, che avvolge ogni ambito della vita umana, modificandola. La visione mostrata dal romanzo, come in genere il filone fantascientifico, non è positiva, ma distopica. Presenta la possibilità di rivestire identità multiple per sfuggire alla situazione frustrante e di basso profilo del mondo reale, entrando in quella avvincente e prestigiosa del metaverso[2].
Se il metaverso è da intendersi come un mondo parallelo, l’idea era nata ben prima del romanzo di Stephenson. Un racconto del 1935 di Stanley Weinbaum, Gli occhiali di Pigmalione, presentava questo nuovo ritrovato capace di offrire filmati dove lo spettatore «sia dentro la storia, parli con le ombre e le ombre gli rispondano, e invece di essere su uno schermo, la storia sia tutta attorno a lui e lui ci stia dentro»[3]. Uno strumento non molto diverso da quanto decenni più tardi stanno cercando di creare Google e altri giganti del digitale.
Gli esempi letterari possono moltiplicarsi[4]. Alla luce delle realizzazioni successive, si può dire che qualcosa di quanto prospettato da quelle narrazioni si sia comunque avverato, e cioè che una parte sempre più importante del nostro tempo – lavorativo, relazionale, ricreativo, affettivo – sarà vissuto nell’ambiente virtuale accresciuto. Questo non comporterà soltanto la presenza di un mondo parallelo, ma un crescente potere di influenza sulla conduzione della vita da parte delle aziende che lo gestiranno, tanto più se una di esse riuscisse ad averne il monopolio[5].
Consapevoli della complessità di un tema per buona parte ancora ipotetico, ci limitiamo a presentarne alcuni possibili filoni e le problematiche in gioco.
Che cos’è il metaverso?
«Metaverso» è l’unione di due termini: meta (che in greco, come in inglese e in italiano, significa «oltre») e verso, che è la contrazione di universo. In linea con quanto sostenuto in Snow Crash, non si tratta di una particolare applicazione o collegamento, ma di un vero e proprio mondo, che ciascuno potrà creare secondo i propri gusti, e nello stesso tempo aperto a tutti coloro che, di comune accordo, vorranno farne parte. Qualcosa ancora più ipotizzato che reale, ma su cui le grandi aziende stanno investendo somme enormi per mettere a punto la tecnologia che lo renderebbe possibile: 70 miliardi di dollari (Microsoft); 10 miliardi (Facebook-Meta); 1,6 miliardi (Unity Software); 39,5 milioni (Google)[6]. L’obiettivo futuro è di realizzare guadagni che ammontino ad almeno 10 volte tanto nell’arco dei prossimi 3-4 anni.
Nonostante la difficoltà a precisarne il significato effettivo, molti sembrano intendere con questo termine il passaggio dal Web2 al Web3. Il Web2 era caratterizzato dall’interattività, come ad esempio i social network. Il Web3 offrirà la possibilità di un’immersione totale nell’ambiente del Web. In tal modo, le informazioni prenderanno il posto delle cose, fino a rendere indistinguibile la differenza tra il mondo virtuale e quello fisico. Applicazioni sempre più sofisticate consentiranno di svolgere ogni attività e operazione della vita: le riunioni di lavoro si terranno in sale virtuali, perfettamente riprodotte, con la presenza non solo di colleghi di tutto il mondo, ma anche con avatar che garantiranno un rendimento ottimale. Restando nella propria camera, sarà possibile passeggiare in città indistinguibili dal loro «gemello fisico», entrando in cinema, musei, parchi. Ma non per questo mancherà l’aspetto relazionale: apposite tessere virtuali (o token) consentiranno l’accesso a club più o meno esclusivi. Ci si è perfino sposati nel metaverso, allestendo una cerimonia corredata di saloni, inviti, noleggio di abiti, musiche e rinfreschi: il tutto come negli eventi fisici, anche se quel matrimonio, attualmente, non ha valore legale[7].
Le nuove opportunità riguarderanno anche la salute. Già sono disponibili applicazioni che hanno lo scopo di monitorare e motivare attività legate al benessere, «progettate come “promemoria per bere”, che esortano le persone ad aumentare il consumo di acqua; oppure wearable/tool che vibrano e accendono una spia quando le persone mangiano troppo velocemente; o ancora app di “neuro segnalazione” che trasmettono direttamente impulsi elettrici destinati a energizzare o rilassare le persone»[8]. Alcune di esse, come StepN, consentono a chi pratica gli esercizi suggeriti di guadagnare gettoni informatici con i quali acquistare oggetti virtuali.
L’economia digitale
In questo scenario inedito c’è, come sempre, anzitutto un tornaconto economico. Uno degli aspetti più importanti del Web3 è proprio il blockchain, le transazioni economiche. Nel metaverso le operazioni non sono tracciabili, non fanno riferimento a banche o siti istituzionali, permettendo a chiunque di compiere operazioni economiche senza costi, intermediari o tassazioni, garantendo il totale anonimato. È il motivo per cui molti hacker, quando bloccano un sito importante (come è accaduto in Italia per l’Agenzia delle entrate o la Regione Lazio) chiedono un riscatto in moneta virtuale. Le valute sono digitali, ma hanno un potere di acquisto reale negli esercizi commerciali di diverse città, come ad esempio Lugano e Singapore. Bitcoin ed ethereum sono le più note, ma sul web ne circolano a centinaia, e sembra che negli Usa ne faccia uso il 20% della popolazione, con un ammontare complessivo intorno ai 2 trilioni di dollari[9].
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Anche la psicoterapia, vista ancora da molti con ritrosia, consentirà un accesso facilitato, superando le inibizioni della relazione fisica, e renderà più agevole parlare dei propri problemi. Un aspetto, anche questo, rilevato da tempo[10]. Il metaverso, offrendo esperienze full immersion, potrebbe presentare opportunità ancora più efficaci per il trattamento dei disturbi psicologici. Pensiamo, ad esempio, alle fobie. In terapia se ne può parlare, elaborare un programma nel quale ci si impegna a percorrere gradualmente i temuti spazi aperti, o chiusi, ma per alcuni anche questi passi graduali rimangono sempre troppo ardui. Il metaverso consente di passare dal piano del suggerimento alla sua immersione operativa, ricreando appositi ambienti, situazioni da attraversare con l’aiuto di un comprensivo avatar terapeuta. Da qui il suo aspetto correttivo e, naturalmente, anche il possibile risvolto manipolativo.
Giochi ed economia sono così intrecciati tra loro da risultare una cospicua fonte di reddito, al punto che in alcuni Paesi, come le Filippine o la Corea del Sud, sono diventati una vera e propria occupazione a tempo pieno.
Il metaverso è davvero realizzabile?
Anche se molto rimane per lo più presupposto, le possibilità offerte dal metaverso sono già ora immense, in particolare sul piano scolastico e lavorativo, come si è avuto modo di constatare nel corso del lockdown. La sua piena realizzabilità è tuttavia legata ad alcuni parametri «fisici» che non possono essere ignorati. Uno di essi è l’energia.
L’implementazione degli ambienti virtuali comporta un altissimo dispendio energetico: una singola transazione economica corrisponde a quanto consuma una famiglia statunitense in 3 giorni. L’utilizzo della criptovaluta ethereum richiede la quantità di elettricità dell’intera Libia. Secondo il Cambridge Centre for Alternative Finance (Ccaf) le transazioni in bitcoin consumano 121 terawatt di energia l’anno, pari all’ammontare di intere nazioni come la Polonia o l’Argentina, e superiore a quello dei Paesi Bassi (108,8 TWh), degli Emirati Arabi Uniti (113,20 TWh) e molto vicino a quello della Norvegia (122,20 TWh). Per avere un’idea della sua entità, con 121 terawatt si potrebbero alimentare tutti i bollitori del Regno Unito per 27 anni[11]. L’attuale grave crisi energetica rende un tale consumo esponenziale ancora più problematico, con gravi ricadute anche a livello politico.
La continua richiesta di energia ha infatti portato la «comunità cripto» a investire in Paesi che la rivendono a prezzi più bassi, causando il collasso del sistema. È quanto accaduto in Kazakistan all’inizio del 2022: non potendo più soddisfare la sempre maggiore richiesta di energia necessaria per il calcolo delle criptovalute, e non avendo ottenuto gli auspicati vantaggi economici, il governo si è trovato costretto ad aumentarne considerevolmente il prezzo, con ricadute sui beni di consumo, l’inflazione e l’impossibilità di far fronte alla nuova situazione da parte di una fetta sempre più grande della popolazione. In seguito a ciò, le crescenti proteste e i disordini in tutto il Paese hanno portato alle dimissioni del ministro dell’Innovazione Askar Zhumagaliyev e alla rapida migrazione degli estrattori di bitcoin in altri lidi ospitali, dove però si ricrea in breve tempo la medesima situazione di crisi[12].
L’altro punto incerto è proprio il mondo delle blockchain. Se, come si ipotizza, si tratta di un aspetto essenziale del metaverso, la sua realizzabilità sarà molto ardua, non solo per i costi energetici, ma soprattutto per la sua strutturale incontrollabilità. Proprio la mancanza di enti deputati al controllo rischia di portare a crisi facili da innescare, ma molto difficili da gestire. Il governo degli Stati Uniti si è deciso a intervenire nei confronti del sistema mixer Tornado Cash (che detiene un patrimonio stimato in 75.000 dollari cripto), mettendolo al bando l’8 agosto 2022, e in Olanda uno dei suoi operatori è stato arrestato con l’accusa di riciclaggio di denaro per finanziare azioni criminali. Ma, soprattutto, il mercato delle criptovalute non ha – ma potrà mai averla? – una sua regolamentazione codificata e riconosciuta a livello internazionale, evidenziando una pericolosa instabilità: bitcoin ed ether nel maggio 2022 hanno registrato un crollo drammatico, perdendo il 57 e il 70% del proprio valore.
Un altro punto critico è l’inquinamento. L’energia rinnovabile non è una politica condivisa, e diversi Paesi – come la Cina e il Kazakistan – preferiscono il carbone e il petrolio (o il nucleare). Gli acquisti online sono comodi, ma hanno un prezzo molto alto in termini ecologici. Nel corso dell’anno 2020, l’emissione di anidride carbonica da parte dei principali distributori ha raggiunto picchi preoccupanti: 60 milioni di tonnellate (Amazon), 38 milioni (Ups), 29 milioni (Dhl), 19 milioni (FedEx), 18 milioni (Walmart). Anche se il metaverso è ancora ipotetico, molti dei suoi problemi sono realtà.
I costi in termini umani
Un discorso a parte riguarda la ricaduta in termini di qualità della vita. Già ora ci si scopre sempre più impegnati in «attività parallele», che scorrono a latere rispetto a quelle che dovrebbero essere le vere priorità, ma che occupano la gran parte del tempo: «Siamo come il re Sisifo che spinge il suo masso lungo la salita: leggiamo, rispondiamo, cancelliamo, inoltriamo, solo per scoprire che sono arrivati altri messaggi mentre stiamo scrivendo la stessa mail. Uno studio ripreso dal Wall Street Journal condotto su 15.000 persone ha mostrato che i professionisti trascorrono in riunione più della metà della settimana lavorativa standard, ventuno ore e mezzo»[13].