Il discorso del Papa alla Pontificia università Lateranense
«Il male che stiamo procurando al pianeta non si limita più ai danni sul clima, sulle acque e sul suolo, ma ormai minaccia la vita stessa sulla terra». È il nuovo grido d’allarme lanciato da Papa Francesco stamane, giovedì 7 ottobre, durante l’atto accademico svoltosi nell’aula magna della Pontificia università Lateranense per l’istituzione del ciclo di studi in «Ecologia e Ambiente. Cura della nostra Casa Comune e Tutela del Creato» e della cattedra Unesco sul «Futuro dell’educazione alla sostenibilità». Di seguito il discorso pronunciato dal Pontefice durante la cerimonia.
Sua Santità carissimo fratello Bartolomeo,
Illustre Signora Audrey Azoulay, Direttore Generale dell’UNESCO ,
Gran Cancelliere,
Magnifico Rettore e comunità accademica lateranense,
cari fratelli e sorelle!
Sono lieto di essere tra voi, per questo Atto Accademico dedicato alle tematiche ecologiche e ambientali. Esso è destinato anche a porre le basi di un dialogo aperto e strutturato, con tutti, su come conoscere e ascoltare la voce della nostra casa comune, che domanda di essere custodita e curata. È un evento che vede partecipe il Patriarca Ecumenico Bartolomeo, con il quale condividiamo il dovere di annunciare l’amore per il creato e l’impegno per la sua custodia. Mentre veniva elaborata l’Enciclica Laudato si’, forte era la luce che veniva da lui e dalla Chiesa di Costantinopoli. Custodire il creato — cito Sua Santità — «è un modo di amare, di passare gradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. È liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza» (Conferenza al Monastero di Utstein, Norvegia, 23 giugno 2003).
Oggi, la riflessione comune come discepoli di Cristo è riuscita a penetrare in tanti contesti facendo convergere interessi spesso distanti, come nell’ambito di Organizzazioni internazionali, di apposite Conferenze multilaterali dedicate ai diversi settori o ecosistemi ambientali. In questa prospettiva, ad esempio, si colloca il recente Messaggio che, con il Patriarca Bartolomeo e l’Arcivescovo Justin Welby, Primate della Chiesa Anglicana, abbiamo predisposto in vista dell’appuntamento di COP 26 a Glasgow, ormai imminente. Credo che ne siamo tutti consapevoli: il male che stiamo procurando al pianeta non si limita più ai danni sul clima, sulle acque e sul suolo, ma ormai minaccia la vita stessa sulla terra. Di fronte a questo, non basta ripetere affermazioni di principio, che ci facciano sentire a posto perché, tra le tante cose, ci interessiamo anche di ambiente. La complessità della crisi ecologica, infatti, esige responsabilità, concretezza e competenza.
Mi ha colpito tanto che uno degli scienziati, nell’incontro che abbiamo avuto con loro e anche con i leader religiosi [il 4 ottobre corrente], questo scienziato, presidente [della Pontificia Accademia delle Scienze], ha detto: «La mia nipotina, che è nata il mese scorso, dovrà vivere in un mondo inabitabile se non cambiamo le cose».
Sono scelte che richiamano alla sua missione originaria l’Universitas, quale luogo privilegiato di formazione e preparazione, dove i diversi saperi si incontrano, dove studenti e docenti si uniscono per riflettere ed elaborare creativamente nuove strade da percorrere. Dall’Università passa anche lo sforzo per formare la coscienza ecologica e sviluppare la ricerca per tutelare la casa comune. L’attività accademica è chiamata a favorire la conversione ecologica integrale per preservare lo splendore della natura, anzitutto ricostruendo la necessaria unità tra le scienze naturali e sociali con quanto offre la riflessione teologica, filosofica ed etica, così da ispirare la norma giuridica e una sana visione economica.
L’incontro di oggi vede anche rappresentata al più alto livello l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), deputata a preservare il patrimonio culturale e naturale mondiale, e a promuovere le scienze nella loro dinamicità, anzitutto attraverso la formazione. Ringrazio l’UNESCO per l’attenzione fattiva posta a questa iniziativa con l’avvio del percorso per una cattedra sul Futuro dell’educazione alla sostenibilità.
Sono questi lo spirito, i presupposti e l’intento affidati al nuovo Ciclo di studi in ecologia e ambiente che nasce oggi in questa Università. Inserito anche nel cammino verso la piena comunione ecclesiale, esso opererà insieme alla Sede dell’Apostolo Andrea, con una prospettiva aperta, un animo grande capace di accogliere l’attenzione delle Chiese cristiane, delle diverse comunità religiose, di quanti sono alla ricerca e di chi si professa non credente. Dovrà essere, cioè, un punto di incontro per la riflessione sull’ecologia integrale, capace di raccogliere esperienze e pensieri differenti, coniugandoli attraverso il metodo proprio della ricerca scientifica. In tal modo l’Universitas si mostra non soltanto espressione dell’unità dei saperi, ma anche depositaria di un imperativo che non ha confini religiosi, né ideologici, né culturali: custodire la nostra casa comune, preservarla dalle azioni scellerate, magari ispirate da una politica, un’economia, e una formazione legate al risultato immediato, a vantaggio di pochi.
Si stanno allontanando le aspettative legate agli obiettivi dello sviluppo sostenibile da realizzare entro il 2030, insieme a più specifici traguardi collegati alla protezione dell’aria, dell’acqua, del clima o alla lotta alla desertificazione. Forse perché abbiamo legato questi traguardi solo a un rapporto causa-effetto, magari in nome di un efficientismo, dimenticando che «non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia» (Enc. Laudato si’, 118). Senza una vera ecologia integrale avremo «un nuovo squilibrio, che non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri» (ibid.). L’idea di un apposito Ciclo di studi, dunque, serve a trasformare anche tra i credenti il solo interesse per l’ambiente in una missione realizzata da persone formate, frutto di un’adeguata esperienza educativa. È questa la responsabilità più grande di fronte a quanti, a causa del degrado ambientale, sono esclusi, abbandonati e dimenticati. Un’opera alla quale le Chiese, per vocazione, e ogni persona di buona volontà sono chiamate a dare tutto l’apporto necessario, facendosi voce di chi non ha voce, che si pone al di sopra degli interessi di parte e che non rimane solo lamentosa.
Alla comunità accademica lateranense, in tutte le sue componenti, rivolgo il mio incoraggiamento a proseguire, con umiltà e perseveranza, nell’intercettare i segni dei tempi. Un atteggiamento che richiede apertura, creatività, offerte formative più ampie, ma anche sacrificio, impegno, trasparenza e rettitudine nelle scelte, specie in questo tempo non facile. Abbandoniamo definitivamente quel “si è fatto sempre così” — è suicida, questo, il “si è fatto sempre così” —, che non rende credibili perché genera superficialità e risposte valide solo in apparenza (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 33). Siamo chiamati, invece, a un lavoro qualificato, che domanda a tutti generosità e gratuità per rispondere a un contesto culturale le cui sfide attendono concretezza, precisione e capacità di confronto. Che Dio ci colmi della sua tenerezza e riversi sul nostro cammino la forza del suo amore, «affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione» (Enc. Laudato si’, 246). Grazie.